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COP22: Per mantenere gli impegni di Parigi, i paesi Ocse devono abbandonare il carbone entro il 2030

WWF Stop Carbone 

Sembra di essere su un bus molto affollato e invece siamo sul lungo corridoio che porta ai diversi padiglioni qui alla Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC-COP22), a Marrakech. Sono arrivati i ministri e da oggi parleranno molti capi di Stato e di Governo. Ci dovrebbe essere anche il Segretario di Stato USA, John Kerry; inutile dire che il suo è tra gli interventi più attesi, soprattutto dopo le elezioni americane.

Innumerevoli i dibattiti e le conferenze collaterali, che fanno emergere una realtà ricchissima di iniziative da parte di tutti i settori, dalle associazioni alle imprese, dai cineasti agli investitori. Le città sono senza dubbio protagoniste, quelle italiane sono guidate da Assisi che organizza un incontro al Padiglione italiano oggi 15 alle 15.30 per “promuovere nuove soluzioni di cura del creato, nuovi percorsi di pace e schemi innovativi di sviluppo sostenibile”.

 

Continua intanto la riflessione sulle conseguenze che le elezioni USA potranno avere sull’attuazione dell’Accordo di Parigi. La Cina innanzi tutto, ma anche tutti gli altri Paesi (inclusa l’Arabia Saudita) hanno dichiarato la propria volontà di andare avanti con il trattato. Un rallentamento della decarbonizzazione potrebbe avere effetti drammatici sul clima, ma anche sull’economia, prima di tutto su quella statunitense. Vediamo perché.

Attualmente le energie rinnovabili occupano oltre 8 milioni di persone nel mondo. Ai primi posti, Cina e Brasile, seguite dagli Stati Uniti con 769 mila lavoratori a fronte di 187.200 addetti nel settore dell’estrazione di petrolio e gas e di 67.929 in quella del carbone (sono dati che si riferiscono sempre agli USA). Eppure pare che questi lavoratori siano diventati invisibili. Si arriva al punto che nell’Unione Europea, in controtendenza, in un anno si perdano 44 mila posti di lavoro “grazie” alle barriere e alle revisioni degli incentivi in diversi Stati (tra cui spicca l’Italia), e non se ne curi nessuno, nemmeno la viceministro allo Sviluppo Economico, con delega all’Energia, Teresa Bellanova, che pure viene dal mondo sindacale. Mentre i regolatori continuano a fare la vera politica energetica, fossile. Per carità, bisogna adoperarsi per salvaguardare l’occupazione di tutti, avendo ben chiaro però quali sono i settori da riconvertire e quali quelli su cui investire per il futuro: e invece da noi si fa l’esatto contrario.

 

Intanto, anche qui a Marrakech si continua a parlare di carbone, il primo combustibile fossile di cui il mondo potrebbe fare a meno, nonché il più inquinante per clima, ambiente e salute umana.

É stato presentato oggi lo studio “Implications of the Paris Agreement for Coal Use in the Power Sector” che con una serie di modelli é arrivato alla conclusione che, per soddisfare gli impegni presi a Parigi nel modo più conveniente, i paesi ricchi devono chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2030, la Cina entro il 2040 e il resto del mondo entro la metà del secolo. Come dice l’autore del rapporto, Bill Hare, “La scienza dimostra che il modo più semplice per soddisfare l’impegno assunto a Parigi (mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 ° C e puntare a limitarlo a 1,5 ° C) è quello di decarbonizzare il settore elettrico entro la metà del secolo. Per essere equi, le nazioni dell’OCSE devono eliminare il carbone prima – entro 13 anni, cioè entro il 2030”.

Decisioni in tal senso, anzi di chiusura anche prima del 2030, sono già arrivate in Europa da Austria, Belgio, Finlandia, Portogallo e Regno Unito. Si attende ora l’Italia, visti gli annunci del Presidente del Consiglio e le indicazioni degli analisti del WWF Italia su politiche e misure possibili per accelerare l’uscita (vedi http://www.wwf.it).

Per seguire gli aggiornamenti dalla Conferenza UNFCCC sul clima di Marrakech segui il diario curato da Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF, su “La Stampa – Tuttogreen”. 

 

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