La CCS (Carbon Caption and Storage)

La CCS è una tecnologia -ancora sperimentale- in grado di catturare la CO2 prodotta da una centrale a carbone prima che questa si disperda in atmosfera e poi stoccarla a grandi profondità, ad esempio in vecchi giacimenti petroliferi esauriti. Secondo i sostenitori di questa tecnologia, ancora tutta da dimostrare, la CCS dovrebbe permettere di continuare a bruciare i combustibili fossili riducendo le emissioni di gas serra.
Tutto perfetto quindi? Con la CCS il carbone diventa una fonte energetica sostenibile? No, non è proprio così. Innanzitutto perché si tratta di una tecnologia ancora in fase di sperimentazione, con molte criticità non risolte e con costi assolutamente esorbitanti.
La IEA stimava che i costi di costruzione degli impianti con CCS fossero almeno del 60% superiori rispetto a quelli di equivalenti impianti privi di sistemi di cattura. In realtà i costi reali si sono dimostrati ancora più alti, come evidenzia il progetto canadese di revamping di un piccolo impianto a carbone di appena 110 MW di potenza, che nel 2014, con il dispositivo CCS, è costato la bellezza di 1,35 miliardi di dollari canadesi, equivalenti a circa 0,95 miliardi di euro (dell’epoca). L’operazione è stata possibile solo grazie agli ingenti finanziamenti erogati dal governo canadese e a situazioni ambientali considerate molto favorevoli. Si tratta di costi assolutamente fuori mercato: stiamo parlando di circa 8,6 miliardi di euro per un impianto da 1.000 MW. I dati economici appena citati non dovrebbero indurre all’ottimismo neanche i sostenitori della CCS.
E costi ancora più alti sono stati registrati nella costruzione della prima centrale elettrica di grande taglia con tecnologia CCS (cattura del 65% di CO2), realizzata negli Stati Uniti (progetto Kemper County da 582 MW) e che si stima abbia superato gli 11.400 dollari per kW, risultando cioè oltre 6–11 volte più costosa dei progetti recenti di impianti solari o eolici (rispettivamente).
Altra importante criticità, oltre a quella economica, è rappresentata dalla scarsa facilità di prevedere un possibile ritorno in atmosfera della CO2 attraverso camini di fuga (faglie o fratture naturali), aspetto che da un lato vanificherebbe tutti gli sforzi fatti per confinarla (compresi quelli energetici).
Il WWF ritiene che i costi per gli impianti di cattura e stoccaggio del carbonio non possano essere sostenuti dalla collettività e che sarebbe assolutamente preferibile investire le risorse economiche in efficienza energetica e fonti rinnovabili.
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